VALIDAZIONE DELLA PROCEDURA COMOVAL

VALIDAZIONE DELLA PROCEDURA COMOVAL

applicata alla SCID I/P DSM IV-TR Versione Ricerca (2002)

centrata sull’Approccio Dimensionale

 

Rosanna Peronea, Donatella Pecorib, Michael B. Firstc, Giuseppe Mammanad, Luisa Fossatie, Teodora Lorussof

 

In passato abbiamo validato la Procedura COMOVAL (Valutazione della Comorbidità), riferita alla  SCID I/P DSM III-R, attraverso uno studio meta-analitico (Perone R., Pecori D., 20021). Lo studio di validazione ci aveva permesso di affermare che la Procedura COMOVAL consentiva di migliorare la validità delle diagnosi formulate attraverso la SCID. Ci aveva offerto la possibilità di dimostrare l’importanza, ai fini diagnostici, della raccolta di alcune categorie di informazioni: (i) la Storia di Vita e i Dati Anamnestici del Paziente e (ii) i Dati Medici elaborati secondo un’Ottica Temporale. Aveva anche evidenziato l’importanza dell’applicazione della Dimensione Temporale ai dati raccolti (Perone R., Pecori D., 2002, pag 123).

Durante gli anni successivi abbiamo effettuato ulteriori perfezionamenti, giungendo gradualmente alla definizione della Procedura COMOVAL (Perone R., Pecori D., 20072) applicata alla SCID I/P DSM IV-TR Versione Ricerca -2002^ [strumento tradotto da R. Perone3 (vedi. www.scid4.org )]. Questo articolo si propone di riferire i risultati del lavoro di Validazione di quest’ultima Procedura, presentando prima una sintesi dei suoi principali contenuti.

E’ nostra intenzione adattare tale Procedura alla SCID-5-RV, rispettando i nuovi contenuti del DSM-54 e il proposito della DSM-5 Task Force: “Nonostante i problemi posti dalle diagnosi categoriali,la struttura organizzativa è stata pensata come un ponte verso nuovi approcci diagnostici, senza però sconvolgere l’attuale pratica clinica e la ricerca..… Una tale riformulazione degli obiettivi di ricerca dovrebbe anche mantenere il DSM-5 centrale nello sviluppo di approcci dimensionali alla diagnosi che nei prossimi anni andrà probabilmente a integrare o sostituire gli approcci categoriali correnti”. (DSM-5 Pag. 15)

 

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Alessandra Amoroso per Acudipa

Video messaggio di Alessandra Amoroso per il progetto nazionale “Counseling & Guida” svolto da operatori qualificati dell’Associazione Nazionale A.Cu.Di.Pa. (Associazione Cura delle Dipendenze Patologiche), su mandato ed in stretta collaborazione con la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Gioventù e del Servizio Civile Nazionale.

“Ogni anno in Italia circa 250mila persone restano ferite in un incidente stradale. I morti sono quasi 3500. Ogni anno. Per fermare questa strage bastano piccoli gesti”

Scarica l’app “C&G” da Google Play sul tuo dispositivo Android e potrai chattare con un operatore esperto in relazione d’aiuto!

«Le parole della mamma di Lavagna dovrebbero diventare un programma di governo»

Le parole pronunciate mercoledì nella chiesa di Santo Stefano di Lavagna dalla mamma del ragazzo morto suicida il 13 febbraio scorso hanno fatto fare a José Berdini «un salto sulla sedia». Maceratese, responsabile delle comunità terapeutiche per tossicodipendenti gestite dalla Cooperativa “Pars” nelle Marche, Berdini come tutte le persone di buon senso che si occupano di questi temi sa benissimo che bisogna andarci piano con i luoghi comuni sulla “legalizzazione delle droghe leggere”, che il problema dei ragazzi che “si fanno” non è certo trovare legalmente gli stupefacenti. Per questo l’altroieri, prima del funerale e del discorso di quella donna, era in preda a un sentimento di «incazzatura mista a una grande tristezza», perché si era reso conto che la tragedia di quel giovane uomo era subito diventata nulla più di un pretesto per la solita campagna ideologica antiproibizionista.

FINTI PALADINI DEI POVERI. Berdini era demoralizzato dalla prevalenza nel dibattito pubblico, anche dopo una tragedia del genere, dei «vari saviano». «E guardi che non ce l’ho con lo scrittore», precisa, «ma con tutta una categoria di persone che non hanno niente a che fare con la realtà di queste cose e si atteggiano a “paladini dei poveri” per mestiere». Senza però rendersi conto delle conseguenze che hanno le loro “lezioni” sulla pubblica opinione. Proprio in reazione al suicidio del 16enne di Lavagna «un collettivo di studenti di Napoli chiamato Caos ha organizzato un flash mob esponendo cartelli con su scritto “Non si può morire di proibizionismo”», racconta Berdini. «Ho letto anche di un insegnante che se l’è presa con la Guardia di Finanza: le fiamme gialle si erano presentate nella sua scuola per un controllo antidroga (perché in molte scuole si spaccia eccome), e quello inveiva “perché entrano nelle scuole e non vanno nelle chiese”… Rendiamoci conto del livello».

CERCARE LA STRAORDINARIETÀ. Mercoledì Berdini era dunque «arrabbiato e triste» perché «poche volte l’utilizzo strumentale della povertà degli altri è stato così clamoroso». Poi c’è stato il funerale. E «grazie a Dio ha parlato la mamma di quel ragazzo. Sentire parlare una donna del popolo in quel modo è stato un soprassalto», commenta il responsabile della Cooperativa Pars. «Finalmente qualcuno è entrato nel merito». Innanzitutto «ringraziando la Guardia di Finanza, l’istituzione. Un ringraziamento giustissimo, perché è grazie all’istituzione che non c’è il “Caos”, appunto». Mentre parla con tempi.it, Berdini ripete le frasi della signora: «“Là fuori c’è qualcuno che vuole soffocarvi, facendovi credere che è normale fumare una canna, normale farlo fino a sballarsi, normale andare sempre oltre”. È un giudizio educativo formidabile. Si rivolge ai ragazzi come ai “cercatori di infinito” cui era intitolato un Meeting di Rimini di qualche anno fa: non fatevi soffocare, “diventate, piuttosto, i veri protagonisti della vostra vita e cercate la straordinarietà”».

«UN GIUDIZIO POLITICO». L’intervento di quella donna «è un giudizio politico», dice Berdini. «Un grande giudizio culturale, educativo e p-o-l-i-t-i-co. Ha rovesciato il discorso di tutti. Ci sentiamo ripetere sempre che il problema è l’impossibilità di trovare la droga ovunque. Lei invece ha chiesto al figlio “perdonami per non essere stata capace di colmare quel vuoto che ti portavi dentro da lontano”. Straordinario». Perché è chiaro, secondo Berdini, che alle radici di questa vicenda c’era molto più del disagio provocato da una perquisizione delle forze dell’ordine. C’era un malessere umano insondabile che è come minimo illusorio pretendere di “curare” con la legalizzazione della cannabis. «Con la droga uno si cura solo apparentemente perché per un istante si tira su. Ma l’istante dopo c’è “il down”, e questo lo sanno anche gli imbecilli. Perciò quella donna ha ragione da vendere», continua Berdini. «”Qualcuno vuole soffocarvi”».

CI VUOLE UNA STRADA. Secondo Berdini le parole della mamma di Lavagna «dovrebbero diventare un programma di governo. Sarebbe una cosa dell’altro mondo se tutti si assumessero “il compito di capire che la sfida educativa non si vince da soli nell’intimità delle nostre famiglie, soprattutto quando questa diventa connivenza per difendere una facciata. Facciamo rete e aiutiamoci fra noi, non c’è vergogna se non nel silenzio”. E ancora: “La domanda da porsi in questa situazione è: come? Come trasformare questa perdita straziante in una nuova, seppur dolorosa, ripartenza?”. Anche questo è giustissimo: va bene chiedersi “perché”, ma se non c’è una strada, se non c’è un “come”, tutto è uguale a tutto».

LA RIFORMA NECESSARIA. Sono princìpi che nella visione di Pars hanno declinazioni molto concrete. Berdini dice che «il sistema con cui lo Stato affronta le tossicodipendenze ha bisogno di una grandissima riforma». Sia i Sert, i servizi che attraggono la maggior parte delle risorse, sia i servizi psichiatrici «godono di grandi capacità professionali, ma perché hanno due primariati distinti? In tutta Italia abbiamo reparti di psichiatria pieni di gente che fa uso di droghe, e intanto i Sert si lamentano perché i servizi di psichiatria non collaborano: perché non vengono fusi? Il paese risparmierebbe risorse e guadagnerebbe in capacità di presidiare il territorio».

LIBERTÀ E RETE. Sono anni che Berdini fa presente il problema a governi di destra e di sinistra. «Tutti sanno che c’è bisogno di questa riforma ma nessuno ci si vuole impegnare». E ancora: «Perché un utente che vuole smettere di drogarsi in Lombardia o in Emilia Romagna non può andare in una comunità nelle Marche o in Sicilia? Perché per una malattia io posso andare a farmi curare al San Raffaele ma un milanese non può venire qui a farsi curare dalla tossicodipendenza?». Nella riforma del sistema dei servizi per le tossicodipendenze secondo Berdini è in gioco la «libertà di cura» e anche molto di quel «fare rete» invocato dalla mamma del ragazzo suicida di Lavagna. «Sembra che il mio discorso non c’entri nulla con la storia di suo figlio», conclude Berdini. «Invece c’entra: è stata lei a chiamare la Guardia di Finanza perché ascoltasse “l’urlo di disperazione di una madre”».

Foto Ansa

Articolo originale: https://goo.gl/2miR6Y

Lavagna: aiutiamo i nostri ragazzi facendo rete.

“La sfida educativa non si vince da soli…” Sono le parole di una mamma, che dal dramma della perdita di suo figlio può trasferirci la migliore lezione di vita. In un’epoca in cui l’essere umano sente il peso della propria fragilità e non sa reagire, non sa trovare la propria strada, si sente solo e non trova la via per esprimere se stesso senza vergogna, la vera sfida è proprio collaborare per offrire risposte a chi da solo non le trova. Dalla cronaca di Lavagna ai banchi di scuola, come insegnante quotidianamente a contatto con ragazzi dai 13 anni in sù, come amica di donne con figli adolescenti e non solo, mi interrogo… Non tanto su cosa è cambiato – questo è sotto gli occhi di tutti e non possiamo porvi un freno – Piuttosto mi interrogo su cosa possiamo fare. “Noi genitori invece di capire che la sfida educativa non si vince da soli nell’intimità delle nostre famiglie, soprattutto quando questa diventa una confidenza per difendere una facciata, non c’è vergogna se non nel silenzio: uniamoci, facciamo rete”, ha aggiunto questa mamma. “In queste ore ci siamo chiesti perché è successo, ma a cercare i perché ci arrovelliamo. La domanda non è perché, ma come possiamo aiutarci. Fate emergere i vostri problemi”, ha detto la madre ai ragazzi durante i funerali. Appunto: come possiamo aiutarci?

A volte le risposte ci sono ma non le vediamo.
Spesso assistiamo inermi alle conseguenze negative dello sviluppo della tecnologia. Più spesso siamo noi stessi artefici di una diffusione capillare, che non conosce tempo e spazio, e annulla il resto. Ancora più spesso in essa ci rifugiamo e mentre lo facciamo cambiamo il nostro modo di essere – tutti, grandi e piccoli. Ed è in questa epoca di stravolgimenti sociali che, a un’insegnante come me, verrebbe facile demonizzare la tecnologia – in modo particolare internet e i social, ove tutti ci nascondiamo. Ed è proprio mentre lo sconforto spesso prende il sopravvento, in questi giorni ho scoperto una strada… Uno strumento tecnologico appunto, che invece di allontanare può avvicinare, che invece di costituire un luogo buio, può essere un porto sicuro per tanti ragazzi, e perchè-no adulti. C&G si chiama la app creata da un gruppo di specialisti nel campo educativo-sanitario che offre un canale concreto per chi – e in special modo per i giovani – si pone domande, è attanagliato da dubbi o è preda delle proprie fragilitá. Ho scaricato dal mio app-store la app, e l’ho sperimentata di persona. Ho trovato immediatamente dall’altra parte un team di operatori esperti che hanno risposto alle mie domande in modo professionale.
In un attimo mi sono resa conto della potenza di questo strumento. Zero disagio, zero costi, massima riservatezza e proprio sul cellulare qualcuno che dopo averci ascoltato può darci un suggerimento, dirci una parola che stimola l’agire positivo. Quale mezzo migliore per entrare in contatto con i nostri ragazzi che sfuggono gli sguardi, se non quello di captare la loro attenzione con il loro rifugio prediletto? E intanto li aiutiamo!
“Straordinario è mettere giù il cellulare e parlarvi occhi negli occhi. Invece di mandarvi faccine su whatsapp, straordinario è avere il coraggio di dire alla ragazza sei bella, invece di nascondersi dietro a frasi preconfezionate”. Continua così la mamma di Lavagna.
Se non ci riusciamo a parole, perchè non provare a dirglielo in chat??
Spesso le famiglie e la scuola si rendono conto che per le nuove generazioni è diventato difficile esprimere se stessi, le proprie emozioni; forse si teme il giudizio altrui; forse la societá di oggi è troppo giudicante.
Qualcuno ha pensato bene di offrirgli un canale diverso. Che permetta loro di non sentirsi giudicati. Perchè non proporglielo? Magari funziona! Magari qualche nostro ragazzo riesce ad aprirsi come non riesce a fare con noi. Da insegnante dico sì! Sì a C&G!
Prof.ssa Veronica Di Gioia

 

Ascolta l’opinione del nostro presidente Clicca qui

Lavagna: morire a sedici anni per pochi grammi di hashish

Il suicidio di un ragazzo di sedici anni di Lavagna, in Liguria, che si è buttato dalla finestra di casa durante una perquisizione della Guardia di Finanza, perchè trovato in possesso di pochi grammi di hashish, ci colpisce particolarmente. Durante la trasmissione della Rai in onda su radio 3 il 15 febbraio 2017, genitori ed esperti hanno espresso il loro parere  tra cui il prof. Mammana presidente di Acudipa. 

 

Ascolta la trasmissione di RAI radio 3 del 15 febbraio 2017: http://lacittadiradio3.blog.rai.it/2017/02/15/14331/

App C&G: nuove tecnologie per i professionisti nella relazione d’aiuto

Nel campo delle dipendenze patologiche, gli interventi risultano più efficaci se sono preventivi, tempestivi e, spesso, costanti. L’attuale sviluppo tecnologico mette a disposizione nuovi strumenti di lavoro in supporto ai professionisti nella relazione d’aiuto. Ad esempio, l’implementazione di nuove applicazioni per smartphone offre l’opportunità di programmare ed effettuare interventi che “seguano” l’utente e rendano quest’ultimo protagonista attivo del suo percorso di guarigione.

 

Nel gennaio 2017, un gruppo internazionale di ricerca ha pubblicato uno studio* sul trattamento dell’abuso di alcol, chiedendo a 130 volontari di utilizzare una app per smartphone. L’applicazione in questione è stata organizzata in 5 moduli (feedback personale, automonitoraggio del bere, strumenti di controllo per il “guidatore designato”, calcolatore del contenuto di alcol nel sangue, sezione informativa). I risultati indicano che il programma è stato ben accettato e, dunque, utilizzato. Inoltre, gli utenti che hanno utilizzato l’app più volte alla settimana hanno mostrato un consumo minore di alcol.

Sulle basi delle evidenze scientifiche, i programmi informativi producono effetti positivi, pur se limitati, sul trattamento delle dipendenze.

 

Acudipa, sempre in prima linea nella battaglia contro le dipendenze patologiche, ha scelto di promuovere la diffusione dell’applicazione per smartphone “C&G” (Counseling & Guida). Tale strumento nasce dall’omonimo progetto con lo scopo di informare i giovani sui rischi derivanti dal consumo di alcol e altre droghe durante la guida e prestar loro una prima consulenza. Una delle idee innovative della app “C&G” consiste nella possibilità di avvalersi della competenza di operatori esperti in relazione d’aiuto e nel campo delle dipendenze. Gli specialisti C&G prendono direttamente in carico le richieste di consulenza degli utenti garantendo professionalità e totale rispetto della privacy.

 

Per maggiori dettagli: https://goo.gl/AG2sbG

 

*Smartphone application for unhealthy alcohol use: a pilot study. http://bit.ly/2kSEXSz

 

A cura del Dr. Palmitessa Antonello

Psicologo. Psicoterapeuta Dinamico Breve in formazione presso IAF

‘Droghe, la politica faccia le sue scelte’. Sei reti dei servizi scrivono alle istituzioni

Droghe e dipendenze, i servizi rompono il silenzio: “La politica faccia le sue scelte”
Delega politica, conferenza nazionale attesa dal 2009, un testo unico sulle droghe da aggiornare
e un sistema di servizi troppo differenziato tra regione e regione.
Sei reti di servizi per le dipendenze scrivono alle istituzioni italiane:
“Porre nuovamente il tema al centro del dibattito”

06 dicembre 2016 – 10:39

ROMA – Politiche antidroga orfane di una delega (che non sia il presidente del Consiglio), una Conferenza nazionale sulle droghe attesa da anni e nel frattempo un mondo, quello delle dipendenze, che cambia anno dopo anno. Quella dell’assenza delle istituzioni su di un tema spinoso come quello della tossicodipendenza è storia vecchia, ormai, così come gli appelli di chi si occupa di questi temi. Tuttavia, nonostante da mesi si ripeta il solito refrain, dal dopo Giovanardi-Serpelloni è silenzio assoluto. A muovere le acque ci hanno provato quelli del coordinamento Intercear, il coordinamento nazionale dei coordinamenti degli enti autorizzati e accreditati, che dopo aver inviato una lettera al presidente del Consiglio, Matteo Renzi, lanciano un appello sottoscritto anche da Fict, Cnca, FederserD, Sitd e Acudipa oltre che al presidente del Consiglio, anche al ministero della Sanità, all’Istruzione, alle due aule del Parlamento, al presidente della commissione sanità al Senato, a quello della commissione affari sociali alla Camera e al presidente della conferenza Stato Regioni. La questione cruciale è “porre nuovamente al centro del dibattito il tema delle dipendenze e del sistema di prevenzione, cura e riabilitazione”. Un documento, spiega Umberto Paioletti, presidente di Intercear, “scaturito da un incontro in Senato con la presidente della Commissione sanità del Senato, il senatore Lumia, perché insieme alle altre reti nazionali abbiamo cercato di riportare l’attenzione della politica e delle istituzioni sul tema, a nostro giudizio molto trascurato, delle dipendenze, sia formulando delle richieste di attenzione ma anche entrando nel merito”.

Il fenomeno delle dipendenze, spiega il testo della missiva, si è diversificato rispetto agli anni 80 e 90, ma è cambiato anche il contesto socioeconomico in cui operano enti pubblici e privati. “Accanto a mutamenti di tipo culturale e socio economico permangono difficoltà del ‘sistema’ di presa in carico dovute in parte a una non piena attuazione della normativa dall’altra ad una eccessiva regionalizzazione. I nuovi bisogni di cura che emergono, sommandosi ai vecchi richiedono una rilettura del sistema al fine di renderlo adeguato a fronteggiare questo fenomeno in continua crescita ed espansione”. Un contesto che, secondo le diverse organizzazioni, avrebbe richiesto un “lavoro di forte confronto tra i vari livelli istituzionali e i soggetti a vario titolo coinvolti” che in questi anni “non è avvenuto” , causando “una accentuata differenziazione nei vari territori che, forte anche di una spiccata autoreferenzialità degli attori, ha portato a mettere in discussione il principio stesso di uguaglianza di trattamento tra i soggetti affetti da dipendenza in funzione della regione in cui risiedono”.

Per questo, spiegano le sei organizzazioni firmatarie dell’appello, occorre che la politica e le istituzioni si facciano sentire su alcune questioni. Prima, fra le richieste, quella di una delega politica “al fine di garantire la giusta attenzione dell’esecutivo al tema del coordinamento delle politiche e delle azioni sul tema droga”. La seconda richiesta riguarda la “piena attivazione e istituzionalizzazione dei luoghi di confronto a livello nazionale, regionale , aziendale e tra Stato e Regioni con la partecipazione degli attori pubblici e privati del sistema ed una rivisitazione della loro funzione”. Per i firmatari dell’appello serve anche una “piena applicazione e verifica dell’attuazione dei Lea nel settore delle dipendenze su tutto il territorio nazionale con pari dignità ma anche pari requisiti di qualità e standard”. Non meno importante la convocazione della Conferenza Nazionale sulle droghe “come luogo di definizione di un nuovo patto tra le istituzioni e le agenzie di cura e prevenzione”. La richiesta di Parioletti è di poter “partecipare alla costruzione del processo della conferenza, per evitare che la conferenza sia un posto dove ognuno fa l’esposizione delle proprie posizioni e finisce per tradursi in una passerella”.

Per le sei organizzazioni serve anche un piano nazionale della prevenzione dalle dipendenze con il ministero dell’istruzione, da prevedere nelle scuole e la necessità di continuare a garantire l’importantissimo ruolo svolto dai docenti comandati presso gli Enti Accreditati per le dipendenze. Tra le richieste anche il rifinanziamento del Fondo nazionale lotta alla droga. “Sono anni che confluisce al fondo che va al sociale e fuoriesce dagli interventi diretti sul trattamento delle dipendenze – spiega Paioletti -, quando invece sarebbe necessario perché la funzione di questo fondo è quella di sostenere quelle azioni innovative che non sono a regime, ma che attraverso questi finanziamenti potrebbero essere sperimentate”. A fronte della necessità di innovazione, però, occorre anche intervenire in merito all’adeguamento degli organici dei Servizi per le Dipendenze, “oggi sottostimati e non in grado di fronteggiare al meglio l’evoluzione del fenomeno”, continua la nota, e all’autonomia dei Dipartimenti delle Dipendenze così come previsto dalla normativa vigente.

Infine la lettera chiede la revisione della legge 309/90 (Testo unico sulle droghe). “Una normativa che necessità di avere più che una manutenzione, un aggiornamento alle esigenze che sono in continuo cambiamento – spiega Paioletti -. Nel merito dobbiamo entrarci. È questo quello che chiediamo: di iniziare a discuterne. La soluzione deve venir fuori da un confronto. Oggi abbiamo il sistema di servizi diverso per ogni regione. Forse oggi è il caso di fermarci e di uniformarlo”. Alla politica la richiesta di un cambio di rotta. “Il tema delle dipendenze deve essere discusso sapendo che ci sono modi diversi di vedere le cose: alla politica va il compito di fare una propria sintesi e fare le proprie scelte”. Il rischio da scampare, però, è quello dell’immobilismo. “Non parlandone, il tema delle dipendenze finisce per non essere più importante, e così facendo anche le risorse economiche che devono alimentare il sistema di cura finiscono per assottigliarsi. Così si va incontro al crollo del sistema di cura che abbiamo creato”. (ga)

Online addiction: dipendenza di serie B?

Internet è simile ad un parco giochi sempre più popolato da giocatori d’azzardo, giocatori, acquirenti e frequentatori di social network. La letteratura scientifica ha dimostrato che una parte di utenti presenta sintomi tradizionalmente associati alle dipendenze da sostanze: modifica dell’umore, tolleranza, conflitti interpersonali, craving, … Inoltre, è stato verificato che una combinazione di caratteristiche individuali, situazionali e strutturali è in grado di determinare se e in quale misura gli individui si impegnano nelle diverse attività online. Per esempio, si ritiene che l’accesso, la disponibilità e l’anonimità siano fattori critici che rendano internet un facilitatore per l’acquisizione, lo sviluppo ed il mantenimento di una “online addiction”.

Nonostante sia stato ampiamente dimostrato che un uso eccessivo di internet abbia effetti dannosi simili a comportamenti compulsivi e/o dipendenze più tradizionali, la ricerca è stata ostacolata dall’utilizzo di criteri incoerenti e non standardizzati per valutare e identificare un uso problematico o patologico e, talvolta, da gravi pregiudizi nel campionamento.

In conclusione, affinché si possano costruire teorie e modelli di intervento mirati al benessere e, nei casi di dipendenza patologica, al recovery, sono necessari studi clinici dedicati che descrivano le caratteristiche uniche ed i sintomi specifici dell’uso problematico di internet e dell’online addiction.

Articolo originale in stampa: Griffiths, M.D., Pontes, H.M. & Kuss, D.J. (2016). Online addictions: Conceptualizations, debates and controversies.

A cura del Dr. Palmitessa Antonello

Psicologo. Psicoterapeuta Dinamico Breve in formazione presso IAF.